Grafia Veneta Unitaria

Manuale a cura della giunta regionale del Veneto

Nota preliminare

            L'opportunità, anzi, la necessità per ogni parlata o gruppo dialettale, che voglia lasciare una traccia scritta della sua vitalità, di una propria grafia unitaria è tanto evidente, quanto impervia, perché ogni proposta per realizzarla si scontra ineluttabilmente contro radicate abitudini personali, pregiudizi grafici, imposizioni della tradizione, a cui è difficilissimo rinunciare.
Per riuscire a far accettare un progetto ortografico non basterebbe nemmeno il forte braccio di un'accademia scientifica o di un decreto ufficiale, anche se si è sognato che "sarìa na bela cosa che ghe fusse un'autorità da tutti riconossua" (Pighi).
Un contrasto insanabile sembra opporre coloro che scrivono spesso in dialetto e non si curano di sottigliezze e incoerenze nella loro scrittura, affidandosi alla competenza dei lettori (che presumono in perfetta sintonia col proprio dialetto), capaci - affermano - di supplire alle deficienze del sistema grafico adottato, e i sostenitori di una più rigorosa, sistematica e coerente rappresentazione della parlata non respingendo il ricorso all'introduzione di segni speciali, tanto da rendere i loro testi in una sorta di trascrizione fonetica semplificata.
I criteri fondamentali, che hanno guidato la stesura delle norme ortografiche qui definite sono sostanzialmente cinque:

  • allontanarsi il meno possibile dalle consuetudini grafiche dell'italiano;
  • dare la possibilità ad ogni varietà veneta, anche di ristretto territorio, di rendere con sufficiente approssimazione la reale parlata;
  • sacrificare il rigore di una assoluta coerenza alla praticità di soluzioni semplici e pragmatiche;
  • concedere la possibilità di usare alcuni segni alternativi a quelli proposti a coloro che, per convinzione o precedente convenzione, non si sentono di lasciare del tutto le regole già adottate;
  • abbandonare ogni preoccupazione di natura etimologica, spesso sviante, rimanendo fedeli alla pronuncia effettiva attuale.

L'accettazione fin dove possibile della norma italiana non deve essere intesa come assoggettamento ad un sistema grafico estraneo (non superiore, semmai diverso), ma come obiettivo riconoscimento che l'educazione alla scrittura dei Veneti, di ieri e di oggi, è avvenuta sul modello italiano, dal quale è più economico non discostarsi per evitare, in nome di una malintesa affermazione di autonomia a tutti i costi, l'impatto con segni nuovi, strani, tutti da imparare e assimilare. Qualunque sia l'idea personale sulla nostra parlata, non si può non tener conto del fatto inconfutabile che "nessuno scrive il dialetto materno prima di aver imparato a scrivere la lingua nazionale" (Padoan).
Un altro punto da prendere in considerazione è la "Felix culpa" della mancanza di simmetria, se questa mancanza porta ad una più facile ed agevole comprensione del testo scritto. Lasciando ai realizzatori di alfabeti fonetici scientificamente ineccepibili il compito di rispettare l'aureo principio di proporre un solo segno per ogni singolo suono, si è data la preferenza alla facilitazione della lettura nei confronti di una coerenza solo teorica. Per esempio, alla interdentale sonora dh (già in sé stessa apostatica, perché un suono semplice è rappresentato con un digramma) dovrebbe corrispondere una sorda th, ma la sua realizzazione corrente è più vicina alla z, dalla quale storicamente proviene, che alla dentale (nazhion è più immediatamente interpretabile di nathion).
Ciò non significa, come si è detto, che in ogni caso si debba risalire alle forme cronologicamente anteriori e mantenerle anche quando sono superate: se in un dialetto si dice bèlo, si scriva bèlo, ma se oramai si dice bèo non c'è ragione per tradire la pronuncia reale, scrivendo egualmente bèlo; se un dialetto conserva la z, si scriverà legittimamente pèzo, altrimenti, non meno correttamente, pèso/pèxo.
Vorremmo, cioè, ripetere per il veneto ciò che Iseppo Pichi, due secoli e mezzo fa, affermava per il veneziano:
Un aviso ve dago per scurtarla;
Se scrive in venezian come se parla,
anche se c'è chi nega la correlazione fra parlato e scritto: "Poggiarsi e fidare, dunque, sulla sola pronuncia, tanto varia, sarebbe pericoloso e, in ogni modo, mobile nel tempo e nei sestieri. Ma c'è questo assoluto bisogno di scrivere proprio come si parla?" (Bogno).
A queste prime osservazioni facciamo seguire un elenco dei segni semplici e composti previsti in questa proposta di grafia veneta unificata, segni che saranno descritti, anche con brevi cenni storici, con la loro definizione scientifica, la trascrizione sia secondo l'alfabeto fonetico internazionale, sia secondo il sistema solitamente adottato dai dialettologi italiani, e l'appoggio degli esempi tratti dal veneto comune o dalle singole varietà.
Precederanno alcune norme riguardanti gli accenti e l'apostrofo.

 

Commissione regionale per la grafia veneta unitaria

     La stesura del manuale di Grafia Veneta unitaria è stata curata da un'apposita Commissione scientifica, nominata con deliberazione della giunta regionale del Veneto, n. 4277, in data 14.09.1994 e così composta:

Manlio Cortelazzo - coordinatore e direttore scientifico
Silvano Belloni - componente
Luciano Canepari - componente
Dino Durante - componente
Mario Klein - componente
Gianna Marcato - componente
Sergio Sacco - componente
Maria Rosaria Stellin - componente
Ugo Suman - componente
Alberto Zamboni - componente

Regione del Veneto - Assessorato all'Emigrazione
Dipartimento Flussi Migratori
Dipartimento per l'Informazione

 

Introduzione di Ettore Beggiato:
La normalizzazione della grafia veneta

Nella primavera scorsa gli amici della "Fondazione Serafinense di Cultura" di Serafina Correa (Rio Grande do Sul - Brasile), cittadina diventata ormai famosa per il festival che si svolge nell'ultima settimana di luglio e nel quale il veneto è stato dichiarato lingua ufficiale, mi scrissero per auspicare una mia iniziativa al fine di arrivare alla formulazione di una grafia veneta unificata, ignari sicuramente del fatto che già nel lontano gennaio del 1989 avevo presentato una proposta di legge dal titolo "Istituzione della commissione regionale per la normalizzazione della grafia veneta".

Sempre nella primavera del 1994 la sesta commissione del Consiglio Regionale aveva esaminato le due proposte di legge giacenti in Consiglio: la n. 109 del primo ottobre 1991, presentata dallo scrivente e che riprendeva quanto proposto nel gennaio '89, e la n. 247 presentata il 29 gennaio 1993 dai consiglieri Comencini, Marin, Gobbo, Cabrini e avente per oggetto "Studio e valorizzazione della lingua veneta". La commissione aveva positivamente valutato il contenuto delle due proposte suggerendo però di passare attraverso una delibera di Giunta piuttosto di prevedere una legge specifica.

Ecco allora la nomina di questa nuova commissione scientifica prevista dalla delibera del 14/9/1994, coordinata dal Prof. Manlio Cortelazzo e rappresentativa del mondo dell'università, dell'editoria, della pubblicistica, dell'associazionismo culturale. A tutti i membri della commissione un ringraziamento particolarmente caloroso per la passione e la convinzione con le quali hanno portato a termine il non facile lavoro, che diventa la sintesi ideale fra le aspettative dei veneti nel mondo e la forte richiesta di associazioni, di studiosi, d'insegnanti, di scrittori della nostra Regione, di una grafia unitaria della lingua veneta al fine di facilitarne la diffusione.

La lingua veneta, infatti, è praticamente assente dai mezzi di comunicazione di massa; ciò nonostante la parlata veneta è quotidianamente usata dalla stragrande maggioranza del nostro popolo in tutti gli ambienti e a tutti i livelli.

Radicalmente diversa è la situazione per quanto riguarda il veneto scritto.

Sono già passati oltre quindici anni da quando lo stesso prof. Cortelazzo scriveva nella sua prima "Guida ai dialetti veneti: "Un problema permanente e dispendiosamente risolto con soluzioni individuali è quello della trascrizione dei testi dialettali, sia a livello scientifico, sia per un uso più corrente"; né, purtroppo, il sistema di trascrizione suggerito dallo stesso Professore, né quello adottato da altri (in particolare dalla Società Filologica Veneta) hanno avuto la sperata diffusione, dando così ulteriormente fiato a chi sostiene l'impossibilità di stabilire l'uso di una lingua veneta scritta vista la molteplicità dei "dialetti" veneti.

Estremamente significativo in questo contesto quanto sostiene l'autorevole professore di linguistica romanza dell'Università di Salisburgo, Hans Goebl:

"Pretendere che la poliformia dialettale di una data regione impedisca la genesi e, ulteriormente, l'uso regolare di una lingua scritta altamente standardizzata è storicamente bensì scientificamente erroneo. Tutte le grandi lingue scritte europee (tanto neolatine quanto germaniche e slave) sono nate, di fronte al latino medievale monomorfico e standardizzato, in una forma dapprima polimorfica. In antico francese (dai Giuramenti di Strasburgo fino al secolo XIV) per "acqua" si scriveva, indistintamente secondo le regioni e le abitudini degli amanuensi, iaue, eaue, eau, ecc. E, fatto strano e inconcepibile per capi contemporanei, questa polimorfia lessicale non ostacolava in nessuna maniera l'univoca e generale comprensione dei testi scritti in tutte le parti del territorio francofono. Oggi, la lingua francese è perfettamente standardizzata e si serve dell' unica forma eau. Ciò nonostante i dialetti francesi tuttora viventi conservano i tipi iaue, eue ecc.

Tutte le lingue minori in via di emancipazione culturale c/o politica debbono trascorrere lo stesso processo evolutivo. Siccome il piemontese (il veneto nel nostro caso) scritto dispone di una tradizione multisecolare e, perciò, ha trascorso più della metà del suddetto processo evolutivo verso la standardizzazione definitiva, non vedo, in quanto linguista, dialettologo e romanista, quali ostacoli potrebbero opporsi al continuarsi della emancipazione linguistica e sociolinguistica del piemontese (veneto) scritto, tranne quelli politici".

E, considerando come la normalizzazione della grafia veneta sia un momento importantissimo della riappropriazione dell'identità culturale veneta, si capisce tutto il significato di quel "tranne ostacoli politici"

La presente iniziativa va anche nella direzione tracciata da numerosi documenti a livello comunitario.

Nella risoluzione adottata il 16 marzo 1988 il Consiglio d'Europa afferma nel preambolo della "Carta Europea delle lingue regionali o minoritaria", "il diritto delle popolazioni ad esprimersi nelle loro lingue regionali o minoritarie nell'ambito della loro vita privata e sociale costituisce un "diritto imprescrittibile" e più avanti "la difesa e il rafforzamento delle lingue regionali o minoritarie nei vari paesi e nelle varie regioni d'Europa, lungi dal costituire un ostacolo alle lingue nazionali, rappresentano un contributo importante all'edificazione di un'Europa basata sui principi di democrazia e di diversità culturale".

E auspicabile quindi che questi ultimi anni che ci separano dal secondo millennio diventino gli anni della tutela, dello sviluppo e della promozione delle lingue e delle culture regionali senza naturalmente che questo pregiudichi il processo di integrazione europea né la facilità di contatti fra i singoli popoli.

Anzi, gli stati più avanzati e rispettosi dei diritti delle minoranze hanno capito che quando un popolo è cosciente della propria identità, è più disponibile alla comprensione delle culture altrui, è più rispettoso delle caratteristiche e delle peculiarità degli altri popoli, è meno portato a misurare la civiltà o l'inciviltà altrui sul proprio metro, così che di fatto è vaccinato contro il virus del razzismo.

"Conosci te stesso rispetta gli altri" è la filosofia che ispira questa iniziativa, questa proposta.

Concludo - non senza prima aver citato l'autorevolismo Roland Breton che nella sua "Geografia delle lingue" denuncia: "Una lingua che non viene insegnata è una lingua che viene uccisa, tanto più quando al suo posto se ne insegna un'altra" - con una poesia del poeta siciliano Ignazio Buttitta:

Un populu
mittitilu a catina
spugghiatilu
attuppatici a vucca,
è ancora libiru.

Livatici u travagghiu
u passaportu
a tavola unni mancia
u letto unni dormi,
è ancora riccu.

Un populu,
diventa poviru e servu,
quannu ci arrobbanu a lingua
addutata di patri:
è persu pi sempri.